Malattie Pediatriche

Dr. Edoardo Farinelli

Medico Specialista in Pediatria

Master in Gastroenterologia ed Endocrinologia Pediatrica


Bronchiolite

La bronchiolite è una infezione delle estremità terminali dell’albero respiratorio, i bronchioli appunto, causata generalmente da virus, in particolare dal Virus Respiratorio Sinciziale (detto “VRS”). La reazione infiammatoria causata dall’infezione, provoca una riduzione del diametro dei bronchioli interessati con conseguente difficoltà al transito di aria negli alveoli polmonari.

La malattia colpisce tipicamente i bambini più piccoli, in genere al di sotto di 1-2 anni, proprio perché questi hanno un calibro delle vie aeree già di per sé ridotto, rispetto a quello dei bambini più grandi o degli adulti.

Il quadro clinico è molto variabile in termini di gravità: ci sono bambini che manifestano un semplice raffreddore mentre altri, soprattutto neonati, mostrano invece il tipico quadro di insufficienza respiratoria caratterizzato da tosse, affanno, dispnea (=respirazione difficoltosa), rientramenti respiratori (visibili sotto alle coste ed al giugulo), polipnea (=aumento della frequenza deli atti respiratori) e febbre di grado variabile. A ciò si può associare il rifiuto da parte del bambino di alimentarsi, in particolare di attaccarsi al seno, con conseguente progressiva disidratazione ed ulteriore indebolimento fisico.

Cosa fare nel sospetto di bronchiolite? Un qualsiasi bambino con sintomi respiratori di rilievo deve essere visitato prontamente da un pediatra in quanto che, sebbene la bronchiolite sia di per sé una malattia auto-limitantesi nella sua gravità, i casi più importanti necessitano di ricovero in ospedale e supporto con ossigeno-terapia oltre che con altri farmaci.

In genere le forme lievi di bronchiolite si curano in una settimana circa con la sola terapia di supporto, ovvero areosol terapia e lavaggi nasali. Contrariamente a quanto si possa credere l’antibiotico-terapia non è raccomandata se non in casi particolari, come ad esempio quando ci sia il sospetto di una concomitante sovrainfezione batterica del polmone.

Celiachia

La malattia celiachia (dal greco “keliachos” = “intestino”) è caratterizzata da molteplici sintomi e segni clinici che si manifestano in risposta ad una reazione infiammatoria scatenata, in soggetti geneticamente predisposti, dall’ingestione del glutine e di altre proteine simili contenute in vari cereali.

La celiachia è una malattia che nella sua forma classica, conclamata, descritta sin dai tempi antichi, è caratterizzata dal “malassorbimento intestinale” di tutti i nutrienti ingeriti, ferro e vitamine inclusi. Il quadro clinico derivante dal malassorbimento è spesso grave ed è contraddistinto prevalentemente da disturbi gastrointestinali cronici (quali ad esempio diarrea, vomito, gonfiore addominale) associati ad aspetto distrofico (bambino piccolo di statura, magro e con poca muscolatura) e ad anemia microcitica (da carenza di ferro).

La presentazione della malattia celiaca così come descritta precedentemente è oggi infrequente grazie alla possibilità di effettuare una diagnosi molto precoce mediante un semplice esame del sangue (in generale mediante la ricerca di anticorpi transglutaminasi “IgA_tTG” e anti-endomisio “IgA_EMA”). Le recenti tecniche di genetica medica inoltre offrono, in questo campo, la possibilità, sempre mediante un semplice prelievo di sangue, di escludere pressochè completamente la possibilità che un soggetto possa divenire celiaco (se negativo per HLA-DQ2/DQ8) e viceversa di stabilire un certo grado di rischio che la malattia esordisca nel corso della vita (ad esempio in caso di omozigosi per HLA-DQ2).

In generale è bene ricordare che la malattia è pericolosa se ignorata o diagnosticata in ritardo, che lo spettro clinico (i sintomi ed i segni) di presentazione è quanto di più eterogeneo esista in medicina (vedi alcuni esempi di sintomi nella tabella), che i sintomi gastrointestinali possono non essere affatto presenti e che, se la celiachia viene diagnosticata precocemente, la terapia si basa sulla semplice eliminazione totale degli alimenti contenenti il glutine dalla dieta, quali ad esempio frumento, orzo, segale, farro, kamut, triticale e spelta tra i cereali.

Condizioni possibilmente correlate alla celiachia: Diarrea - Stipsi - Vomito - Infertilità - Anoressia - Osteoporosi - Distensione - Addominale - Aftosi - Perdita Di Peso - Ipertransaminasemia - Magrezza - Ritardo puberale - Edemi - Bassa statura - Anemia - Dermatite - Ipoplasia smalto dentario - Orticaria -Atassia - Osteoporosi - Infertilità

Dermatite da pannolino

La dermatite da pannolino è in assoluto la dermatite più frequente nei neonati e nei bambini più piccoli. Si tratta di una infiammazione della cute dell’area genitale, ma anche dei glutei, delle coscie e spesso del basso ventre, ovvero di tutte le zone di cute coperte dal pannolino, caratterizzata da eritema (=arrossamento) e piccole lesioni cutanee, spesso confluenti in chiazze (vedi foto). Quasi sempre il piccolo è asintomatico, ovvero non presenta né febbre né altri disturbi, ma talvolta le lesioni, ingrandendosi, possono causare piccole ulcere ed infezioni cutanee.

La causa della dermatite da pannolino è un mix di fattori: in primis la presenza di umidità, dovuta a urine e/ feci, sulla cute che non può asciugasi né traspirare proprio a causa del pannolino. Un altro fattore importante è la frequente infezione di funghi, quasi sempre della specie “candida”, e/o batteri, che si moltiplicano bene proprio nelle zone calde e umide di pelle, come appunto nella zona coperta dal pannolino e nella cute dei piedi che tutto il giorno sono chiusi al caldo umido dalle scarpe. Altri fattori responsabili sono il tipo di pelle (alcuni piccoli hanno la pelle più delicata), il tipo di pannolino, gli sfregamenti con esso, la diarrea ed anche l’eccessiva applicazione di creme (molti genitori pensano erroneamente che più crema mettono e meglio è!). Cosa fare allora in caso di dermatite? Ecco alcuni consigli: cambiare spesso il pannolino, far “areare” la zona colpita per qualche ora al giorno lasciandola senza pannolino, applicare la fucsina basica (un colorante rosso che si compra in farmacia che asciugando la zona uccide eventuali funghi e microbi presenti) e sicuramente non eccedere nell’uso di creme che vanno fatte assorbire bene massaggiando e che in generale, indipendentemente dal tipo, contribuiscono a creare un ambiente umido sulla cute.


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Diabete Mellito

Il diabete mellito è una malattia cronica che può esordire a qualsiasi età della vita. Esso è caratterizzato dal riscontro di iperglicemia (= concentrazione elevata di zuccheri nel sangue), dovuta a una ridotta capacità dell’organismo di metabolizzare (utilizzare come fonte di energia) gli zuccheri che assumiamo con la dieta e che, tramite il processo di digestione ed assorbimento intestinale, raggiungono il torrente sanguigno.

L’iperglicemia è definita tale quando, a digiuno completo, si riscontra una concentrazione di zuccheri nel sangue superiore a 100mg/dL. Nel diabete mellito, l’iperglicemia è una condizione derivante da un meccanismo alterato che impedisce alle nostre cellule di assorbire e pertanto di utilizzare i carboidrati (ovvero gli zuccheri) presenti nel sangue.

Tutte le cellule del nostro organismo necessitano infatti di zuccheri, come di ossigeno ed altri elementi, per funzionare correttamente. Mentre l’ossigeno ed altri elementi entrano nella cellula per semplice diffusione attraverso la parete cellulare (la attraversano come fossero fantasmi che attraversano un muro), le molecole di zucchero vengono assorbite o meglio trasportate all’interno della cellula grazie all’intervento di un ormone chiamato “insulina”, prodotto dal pancreas.

Nel paziente diabetico, lo zucchero che viaggia nel sangue non riesce a penetrare nelle nostre cellule per via principalmente o della carenza di “insulina” (diabete tipo 1) o di una ridotta sensibilità della cellula a questo stesso ormone (diabete tipo 2) od infine per altre condizioni in cui si associa sia una ridotta sensibilità che una certa carenza di insulina (ad esempio: diabete MODY).

L’iperglicemia cronica provoca un progressivo danno a quasi tutti gli organi del nostro corpo come a reni, occhi, cuore, muscoli e cute. L’alta concentrazione di zucchero danneggia irrimediabilmente il microcircolo, ovvero la circolazione di sangue che avviene a livello microscopico, tra cellula e cellula, di ogni tessuto. Senza un normale microcircolo, il tessuto va incontro a progressiva degenerazione e di conseguenza, l’organo a progressiva perdita di funzione.

Nei bambini il tipo di diabete più frequente è in assoluto quello di tipo 1, dovuto a carenza di insulina. La carenza si verifica a seguito di un processo auto-immune di distruzione delle cellule del pancreas che producono appunto l’insulina. In altre parole, nel bambino diabetico, il sistema immunitario che normalmente attacca e distrugge virus e batteri, agisce in modo anomalo attaccando e distruggendo le cellule del pancreas (cellule Beta) che producono l’insulina, portando così a carenza di questo indispensabile ormone. Senza l’insulina, le cellule del nostro corpo non possono utilizzare lo zucchero, nonostante vi si trovino praticamente immerse; tale paradosso ricorda in mitologia greca la pena inflitta a Tantalo, che fu condannato dagli dei a vivere in eterna fame e sete, ma in mezzo ad acqua e cibo, che sfuggivano non appena egli provava ad avvicinarcisi. Senza poter utilizzare lo zucchero le cellule del corpo soffrono e quindi muoiono; il diabete di tipo 1 è, di conseguenza, una malattia pericolosa e addirittura mortale, se non trattata. I sintomi del diabete tipo 1 esordiscono tipicamente con malessere, eccessiva sete e frequenti minzioni urinarie. I sintomi, che possono essere inizialmente sottovalutati, progrediscono rapidamente poi con vomito, disidratazione, debolezza muscolare, confusione mentale, alterazioni dello stato di coscienza fino al coma e infine arresto cardiaco. Il trattamento della malattia, una tempo mortale, è possibile grazie alle somministrazioni di insulina sottocute, ad ogni pasto mediante siringhe predosate o mediante i nuovissimi e rivoluzionari microinfusori che regolano in automatico la dose di insulina necessaria.

Il tipo più frequente (95%) di diabete mellito è però quello che colpisce i pazienti adulti ed in particolare obesi ed è il diabete di tipo 2. A differenza del tipo 1, nel diabete di tipo 2, l’iperglicemia è derivante da una scarsa attività dell’insulina e non da carenza della stessa (anzi spesso i livelli di insulina sono più elevati del normale). L’insensibilità all’insulina e la conseguente ridotta utilizzazione del glucosio da parte delle cellule è determinata da una progressiva perdita di efficacia dell’ormone nei confronti delle cellule. L’insulina viene infatti normalmente secreta in circolo dopo ogni pasto, piccolo o grande che sia, ma un paziente obeso, mangiando troppo spesso e in particolare ingerendo cibo con alto indice glicemico, produce ed immette in circolo insulina in continuo; in questo modo, le cellule del suo corpo si “abituano”, a poco a poco, a livelli costantemente elevati di insulina e smettono progressivamente di rispondere alla secrezione pancreatica di questo ormone. Rispetto al tipo 1, il diabete di tipo 2 è però molto meno pericoloso poiché l’insulina è comunque presente ed in grado di svolgere una discreta azione sulle cellule, anche se ridotta. Le cellule di un paziente con diabete di tipo 2, riescono a metabolizzare lo zucchero, anche se non perfettamente ed a sopravvivere. I sintomi del diabete di tipo 2 possono esordire con sete e minzioni frequenti, ma la malattia è diagnosticata per lo più in occasione di un esame di controllo delle urine, in cui si riscontra presenza dello zucchero o di un esame del sangue, che rileva l’iperglicemia. A differenza del diabete di tipo 1, non si ha sofferenza cellulare acuta con rischio di vomito, acidosi, alterazioni della coscienza. Nel diabete di tipo 2, i problemi sono prevalentemente causati dallo stato iperglicemico e dalla conseguente alterazione del microcircolo e si instaurano lentamente nel corso degli anni. Essi comprendono tipicamente: danni oculari, con riduzione della vista, neurologici, con perdita di sensibilità delle estremità, dermatologici, con ridotta capacità di guarigione delle ferite e aumentato rischio di infezioni cutanee (che possono progredire fino a portare alla gangrena, ovvero al famigerato piede diabetico), renali, con progressiva insorgenza di insufficienza renale, problemi cardiaci e di numerosi altri organi. Il diabete di tipo 2 è di solito abbastanza ben gestibile oggi grazie a farmaci in grado di aumentare la sensibilità delle cellule all’insulina o farmaci in grado di potenziarne l’azione. Una dieta adeguata, povera di zuccheri e ricca di fibre associata ad una regolare attività fisica sono altri interventi in grado di migliorare nettamente la prognosi di questo tipo di patologia che, se ben controllata, non necessita di solito di somministrazioni di insulina.

Approfondimenti: Maternità.it

Enuresi

Verso i 4 anni i bambini, dopo aver già tolto il pannolino nelle ore diurne, raggiungono gradualmente anche il controllo completo della minzione notturna, non bagnando più il letto e riempendo per questo motivo di gioia i propri genitori, finalmente liberi dalla schiavitù (anche economica) del cambio del pannolino. Alcuni bimbi però, anche di età maggiore di 6-7 anni, continuano a presentare il problema dell’emissione involontaria ed inconsapevole di urina durante il sonno; tale problema in medicina viene chiamato enuresi notturna ( dal greco “enouréin” = urinare dentro) e si distingue in “primaria” (quando il bimbo non ha ancora imparato a non fare la pipì nel letto) e “secondaria” (quando il bimbo, dopo un periodo di almeno 3 mesi in cui sembrava aver raggiunto il pieno controllo della vescica anche di notte, ricomincia a presentare l’enuresi notturna). Indipendentemente dal tipo di enuresi, i genitori possono stare tranquilli poiché, salvo casi particolari, il problema dell’enuresi tenderà lentamente a sparire con la progressiva crescita e la conseguente maturazione neuro-fisiologica. Per aiutare a risolvere l’enuresi notturna il prima possibile è bene comunque seguire questi consigli: 1) non far bere il bambino dopo la cena e nelle ore subito prima di dormire; 2) accompagnare il bambino in bagno stimolandolo a fare la pipì molte volte durante tutta la giornata e ovviamente anche subito prima di coricarsi (almeno 6-7 volte al giorno, ogni 2-3 ore ad esempio); 3) svegliare il piccolo alle prime luci dell’alba, accompagnarlo in bagno a fare pipì e poi lasciarlo riaddormentare fino all’ora della sveglia (di solito l’enuresi è più frequente durante le prime ore di luce). Se il problema persiste nonostante i vari sforzi, discutete con il vostro pediatra di fiducia se necessario approfondire meglio la diagnosi o impostare una terapia con farmaci (ad esempio con desmopressina).

Approfondimenti: Corriere della Sera

Mani - Piedi - Bocca

La “sindrome mani-piedi-bocca” è una tra le più frequenti malattie esantematiche pediatriche che di solito colpisce bambini al di sotto dei 6 anni, in particolare durante la primavera. La malattia, dovuta a un’infezione da virus Coxsackie, si manifesta tipicamente con faringite (mal di gola), febbre o febbricola e piccole vescicole che si sviluppano appunto su mani, piedi e bocca. Il decorso della malattia è di solito benigno ed è caratterizzato da: una fase iniziale, che dura uno o due giorni, in cui compare febbre o semplicemente malessere e/o inappetenza. Successivamente si passa alla fase esantematica: iniziano a comparire fastidiose vescicole (o vere e proprie afte) nella bocca e contemporaneamente piccole “macule” (chiazze) rossastre a livello del palmo delle mani, della pianta dei piedi e intorno alla bocca. Nel giro di pochi giorni, progressivamente, le macule si trasformano in piccole vescicole (si riempiono di liquido trasparente) e poi, nei giorni successivi, gradualmente le vescicole e le afte regrediscono fino alla completa guarigione. La malattia dura complessivamente 5-10gg e, di solito, non sono necessarie particolari terapie (solo il paracetamolo, da usare in caso di febbre). Da ultimo, due curiosità su questa malattia: 1) anche gli adulti possono, seppur di rado, contrarre la mani-piedi-bocca ; 2) può capitare che la malattia porti alla caduta di una o più unghie di mani e piedi. Questa rara evenienza prende il nome di “onicomadesi” e tipicamente occorre dopo una-due settimane dalla fine della malattia; le unghie cadute ricrescono comunque normalmente nel giro di uno-due mesi.




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Meningite

La meningite è una malattia abbastanza rara, purtroppo tristemente famosa per la sua potenziale gravità. Dal punto di vista medico, si definisce “meningite” l’infiammazione delle membrane (meningi) che rivestono il sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) e del liquido in esse contenuto (liquido cefalorachidiano, chiamato spesso anche semplicemente “liquor”). La malattia è provocata da un agente infettivo, tipicamente un batterio o un virus. Le forme batteriche sono le più pericolose, a volte persino letali e sono causate principalmente da tre famiglie di batteri: meningococco (Neisseria Meningitidis), pneumococco (Streptococcus Pneumoniae) ed emofilo (Haemophilus Influenzae tipo B). Le forme da virus (entero-virus, toscana-virus, herpes-virus, ecc…) hanno invece un andamento tipicamente benigno, anche se non del tutto privo di possibili complicanze. I sintomi della meningite non sono molto specifici e la malattia, almeno all’esordio, può confondersi con una brutta influenza: febbre, cefalea, nausea/vomito, sensazione di stanchezza profonda, sonnolenza sono tipicamente i segni più frequenti. Quando la situazione peggiora compaiono tipicamente anche una sensazione di ottundimento (riduzione della capacità intellettiva e sensoriale), mancanza di forza fisica, forte cefalea, rigidità e dolore ai muscoli, in particolare al collo, fastidio alla vista della luce (fotofobia), vomito incoercibile ed anche convulsioni. Un altro importante segno clinico che è spia di una situazione grave, tipicamente dovuta ad infezione meningococcica, è la comparsa di chiazze emorragiche sulla pelle; esse dapprima si presentano come semplici puntini rossi, detti “petecchie”, abbastanza difficili da notare perché grandi come una capocchia di spillo e poi ingrandendosi confluiscono a formare via via vere e proprie macchie ecchimotiche (rosso-violacee). Clinicamente, indipendentemente dall'agente infettivo scatenante l'infezione, esistono forme più e meno gravi di meningite: le forme lievi, ad esempio quelle dovute ad alcuni virus, possono manifestarsi con sintomi lievi (febbricola e mal di testa, stanchezza) ed auto-risolversi in pochi giorni, senza conseguenze particolari. Le forme gravi invece, come ad esempio molte delle forme batteriche, possono progressivamente portare alla comparsa di sintomi o segni definiti “neurologici” che sono considerati appunto gravi (tra i quali: rigidità nucale, ovvero difficoltà a flettere il capo in avanti, ipotensione, convulsioni/crisi epilettiche, petecchie, porpora, febbre elevata, vomito ripetuto, shock e/o coma) ed a conseguenze anche disastrose per la salute (morte), se non si instaura prontamente una terapia adeguata ed efficace. In sintesi, la meningite è una malattia pericolosa, la cui diagnosi è spesso difficile per via dei sintomi che possono essere assolutamente aspecifici, almeno in fase iniziale; essa è anche però per fortuna rara, o meglio rarissima, se confrontata con la frequenza delle comuni influenze/infezioni delle prime vie aeree dell’età pediatrica. Di solito Nel nostro paese è disponibile un vaccino per le forme più frequenti di meningite e vista la possibile gravità della malattia, il Ministero della Salute si raccomanda che tutti i nostri bambini vengano assolutamente vaccinati.

Reflusso G.E.

Si definisce Reflusso Gastro-Esofageo (RGE) la risalita involontaria di parte del contenuto dello stomaco nell’esofago, in direzione della bocca. Questa condizione si verifica normalmente, a volte, durante o dopo un pasto. Il verificarsi di numerosi episodi di RGE nell’arco della giornata, ripetuti per settimane, può però essere la causa di una condizione medica patologica definita “Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo” (MRGE) i cui sintomi possono essere, come spesso capita in medicina, molto vari, a seconda del soggetto e della gravità stessa della malattia. Nel lattante, scarsa voglia di attaccarsi al seno o di mangiare al biberon, rigurgiti frequenti, talvolta accompagnati da vero e proprio vomito, scarso accrescimento del peso, tosse ricorrente, crisi di pianto o crisi di vere e proprie apnee (=arresto del respiro) non determinate da altri fattori, possono essere tutti sintomi di MRGE. Il bruciore al petto, retrosternale, può essere presente, ma tale sintomo viene riferito meglio solo da un bambino più grande. Cosa fare se il vostro bambino presenta sintomi sospetti? Innanzitutto per la diagnosi occorre necessariamente rivolgersi ad un pediatra, meglio se esperto in patologie gastroenterologiche. Una volta confermato il sospetto diagnostico, il medico valuterà bene la reale gravità del problema prima di sottoporre il piccolo ad eventuali accertamenti o terapie. Con la crescita infatti, soprattutto nei bambini di pochi mesi di età e con sintomi leggeri, la MRGE può essere ben tollerata e regredire spontaneamente, ma lasciate sempre che sia il medico a fare la prognosi!

IN QUALI CASI È CONSIGLIATA LA VISITA URGENTE?

  • Se il ripetersi degli episodi di vomito impedisce l’assunzione di liquidi.

  • Se il bambino non urina per più di 8 ore.

  • Se compare sangue nel vomito o nelle feci.

  • Se il bambino appare confuso, sonnolento o ha difficoltà nel risveglio.

  • Se pensate ci possano essere probabilità di avvelenamento

  • Se il mal di pancia dura da più di 4 ore o se aumenta progressivamente

  • Se il bambino fatica a deambulare

  • Se ha mal di testa

Tosse, tosse, tosse...

La tosse nei bambini è un fenomeno frequentissimo con l'arrivo dei primi freddi o dei virus invernali e solo raramente, molto raramente, la tosse del bambino è spia di un problema medico serio (quale ad esempio di una polmonite).

Nel 99% dei casi o più, la tosse nel bambino è un fenomeno fastidioso, a volte insopportabile, ma che non deve preoccupare i genitori. In tutti i casi in cui la tosse non è associata a febbre, dispnea (ovvero respirazione molto veloce o difficoltosa), forte malessere o in tutti i casi in cui non colpisce bambini di età inferiore ai 9-12 mesi, la tosse è considerato un fenomeno comune, non una malattia vera e propria. La tosse viene scatenata dall' azione irritativa dei virus o degli agenti atmosferici (freddo) che provoca un danno sulla parete (mucosa o epitelio, in termini medici) della trachea e dei bronchi. A questo danno segue una produzione fisiologica di muco, protettivo come una crema, che crea sensazione di "corpo estraneo" nelle vie aeree e che pertanto fa tossire. La tosse che viene così prodotta, è una tosse che non è associata a stanchezza eccessiva, sintomi importanti e spesso nemmeno a febbre del bambino. Il bambino con questo tipo di tosse comune pertanto potrà manifestare al di la' degli episodi di tosse solo un lieve disagio, ma poi apparirà vispo ed allegro come se nulla fosse. Durante il riposo notturno, se la tosse assume il timbro di un "cane abbaiante", difficile da riprodurre con le parole scritte in questo testo, i genitori si spaventeranno molto ma in realtà poco o nulla cambia per un pediatra: almeno nella stragranda maggioranza dei casi si tratterà di una laringite ipoglottica anzichè di una normale bronchite, ma non bisogna preoccuparsi in nessun modo, sempre se non c'è febbre o alterazioni del respiro (dispnea). In queste situazioni, un leggero calo dell'appetito è fisiologico ed i più piccoli chiederanno spesso più latte che altro cibo. I liquidi dolciastri tipo latte e miele, camomilla lievemente zuccherata o i veri e propri sciroppi per la tosse sono un calmante dei sintomi e spesso, assieme allo sciroppo di paracetamolo o ibuprofene, l'unico rimedio che è consigliato. In attesa che il bambino guarisca, le varie altre terapie come areosol (con soluzioni ipertoniche, fisiologiche o con farmaci), il cortisone (il classico Bentelan), i fluidificanti della tosse (acetilcisteina) e gli antibiotici vengono spesso prescritte dai medici, ma la scienza ha ampiamente dimostrato come nella stragrande maggioranza dei casi esse siano completamente inutili. Come comportarci allora davanti al vostro bambino che tossisce? In primis vi ricordo di considerare che lo stato di benessere di un bambino, sopratutto durante i periodi freddi, è fatto da giornate in cui c'è il sole e giornate in cui è nuvoloso... se un bambino è in perfetta salute è come se ci fosse il sole, ma in natura sarebbe anormale aspettarsi di avere il sole tutti i giorni. Come un cielo nuvoloso, specialmente in inverno, è normale e non indica che ci sia in atto una "tempesta" o un "uragano" per cui allarmarsi, così nei bambini qualche giorno di tosse, e talvolta la diarrea, o qualche episodio di vomito, fanno parte del gioco e non indicano uno stato di malattia importante. Nessun bambino ha mai vissuto senza presentare almeno ogni tanto un po' di tosse e pertanto, ricordando tutto quanto appena detto, in caso di tosse semplice non occorre allarmarsi, il sole tornerà presto. Quando fare una visita? Quando prendere farmaci? Se la tosse anzichè essere semplice è viceversa accompagnata a febbre, difficoltà (vera) a respirare o respirazione veloce o se il bambino è piccolo, di età inferiore a 1 anno circa, la visita è sempre raccomandata, a mio parere. Quando la tosse non è associata a sintomi preoccupanti, la visita medica e l'uso di eventuali farmaci possono essere rimandati anche ad almeno una settimana dopo la comparsa dei sintomi iniziali. La visita o i farmaci non serviranno a far tornare prima il sole. La tosse, non complicata, ha bisogno solo di riposo, igiene delle mani, cambiare i panni bagnati o sudati, bere qualche tisana o latte tiepido e stare ben caldi, evitare di camminare scalzi e prendere troppo vento o freddo.

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IN QUALI CASI È CONSIGLIATA LA VISITA URGENTE?

  • Se il bambino respira con difficoltà, anche al di fuori dell'accesso di tosse

  • Se il bambino è di età inferiore ai 10-12 mesi.

  • Se c'è febbre o febbricola da almeno 3-4 giorni.

  • Se il bambino appare confuso, sonnolento o ha difficoltà nel risveglio.

  • Se pensate ci possano essere probabilità che la tosse sia conseguenza di qualcosa che il bambino ha messo in bocca ed è entrata nelle vie aeree (INALAZIONE o ASPIRAZIONE DI CORPO ESTRANEO)

  • Se il bambino non gioca, appare stanco e disidratato

Vomito e Diarrea

In pediatria si definisce “gastroenterite” l’infezione intestinale, quasi sempre causata da un virus, che si manifesta con vomito, diarrea, nausea e/o rifiuto di alimentarsi e che talvolta è associata a febbre e scadimento delle condizioni generali. In generale la gastroenterite è una delle infezioni più comuni che possono colpire i bambini, grandi e piccini. Il vero (ed unico) problema connesso a questa comune infezione intestinale è la disidratazione, ovvero la condizione che si può verificare a seguito della perdita progressiva di acqua con le feci e dell’impossibilità di trattenere i liquidi assunti per bocca a causa del vomito. Tale condizione, se protratta nel tempo, può essere molto pericolosa per la salute dei bambini, soprattutto per i piccoli lattanti che possono anche rapidamente andare incontro a sonnolenza profonda o coma.

D’altro canto, una volta escluse le complicanze relative alla possibile disidratazione, la gastroenterite è una infezione di solito leggera che spesso non comporta ne’ febbre ne’ necessità di antibiotici o di altri farmaci e che si risolve da sola in pochi giorni. Cosa possiamo fare allora per prevenire la disidratazione? Dobbiamo somministrare abbondanti quantità di liquidi (acqua e/o soluzioni reidratanti che si possono comprare in farmacia, eventualmente latte nei più piccini), ma in modo da non scatenare il vomito. Per far questo è necessario usare un procedimento particolare, fondamentale nei più piccini, ovvero somministrare i liquidi in piccolissimi sorsi e con grandi pause tra loro (ad es. somministrare un cucchiaino di acqua ed attendere che trascorrano 10 minuti prima di somministrare il cucchiaino di acqua successivo, di fatto impedendo al bambino di bere tutto insieme anche qualora egli piangesse disperato dicendo di voler bere). Occorre calma e pazienza e va tenuto presente che di solito il vomito dura uno o due giorni: superata questa fase critica, le cose andranno progressivamente migliorando da sole, anche con il persistere delle scariche di diarrea. Vi consiglio di chiedere al vostro pediatra di fiducia ulteriori spiegazioni e consigli.

IN QUALI CASI È CONSIGLIATA LA VISITA DEL PEDIATRA ?

  • Se il ripetersi degli episodi di vomito impedisce l’assunzione di liquidi.

  • Se il bambino non urina per più di 8 ore.

  • Se compare sangue nel vomito o nelle feci.

  • Se il bambino appare confuso, sonnolento o ha difficoltà nel risveglio.

  • Se pensate ci possano essere probabilità di avvelenamento

  • Se il mal di pancia dura da più di 4 ore o se aumenta progressivamente

  • Se il bambino fatica a deambulare

  • Se ha mal di testa